La ricostruzione dell’opera di Buratti offre una perspicua chiave di lettura per analizzare i rapporti tra Roma e Napoli nel periodo a cavallo tra Seicento e Settecento. Il libro ripercorre l’intera produttività dell’architetto di origini ticinesi, accademico di merito all’accademia di S. Luca, allievo e collaboratore di Carlo Fontana, chiamato a operare in molti centri dell’Italia centro-meridionale. Impegnato in campi diversi della progettazione, diede qualificati contributi nella costruzione di acquedotti, ponti, teatri e soprattutto in "rifattioni" di edifici storici e in rinnovamenti urbani. Dalle opere, analizzate anche attraverso la lettura di fonti inedite, emerge il forte spirito razionale dell'architetto che, pur operando in un periodo difficile per le finanze dello stato pontificio, riuscì a definire un proprio linguaggio architettonico dalle valenze essenziali, che ne fa un anticipatore di quell'asciuttezza espressa in maniera programmatica solo nella seconda metà del secolo. Partendo dalla sua attività l’indagine è stata estesa anche alla presenza nel territorio vicereale napoletano di altri artefici romani, per sottolineare una precoce diffusione di stilemi e modi architettonici tipici dell’urbe ancora prima che il fenomeno dell’“importazione” del linguaggio romano avesse la sua consacrazione con l’arrivo di Carlo di Borbone.

Carlo Buratti. Architettura tardo barocca tra Roma e Napoli.

PEZONE, Maria Gabriella
2008

Abstract

La ricostruzione dell’opera di Buratti offre una perspicua chiave di lettura per analizzare i rapporti tra Roma e Napoli nel periodo a cavallo tra Seicento e Settecento. Il libro ripercorre l’intera produttività dell’architetto di origini ticinesi, accademico di merito all’accademia di S. Luca, allievo e collaboratore di Carlo Fontana, chiamato a operare in molti centri dell’Italia centro-meridionale. Impegnato in campi diversi della progettazione, diede qualificati contributi nella costruzione di acquedotti, ponti, teatri e soprattutto in "rifattioni" di edifici storici e in rinnovamenti urbani. Dalle opere, analizzate anche attraverso la lettura di fonti inedite, emerge il forte spirito razionale dell'architetto che, pur operando in un periodo difficile per le finanze dello stato pontificio, riuscì a definire un proprio linguaggio architettonico dalle valenze essenziali, che ne fa un anticipatore di quell'asciuttezza espressa in maniera programmatica solo nella seconda metà del secolo. Partendo dalla sua attività l’indagine è stata estesa anche alla presenza nel territorio vicereale napoletano di altri artefici romani, per sottolineare una precoce diffusione di stilemi e modi architettonici tipici dell’urbe ancora prima che il fenomeno dell’“importazione” del linguaggio romano avesse la sua consacrazione con l’arrivo di Carlo di Borbone.
2008
9788860553034
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/161052
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